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Continua la serie di approfondimenti sulla rivoluzione digitale in sanità realizzati dal direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto superiore di sanità, Francesco Gabbrielli, in esclusiva per Alleati per la Salute, di cui è membro del Comitato di garanzia.

La telemedicina, nei prossimi 5-7 anni, costringerà i sanitari a modificare i loro processi di lavoro, e il paziente a porsi nei confronti del Servizio sanitario nazionale (Ssn) in un modo diverso rispetto al passato, anche per una questione demografica. Infatti, tranne alcune questioni molto semplici, per le quali è sufficiente un solo professionista attivo sul paziente - come per questioni limitate tipo un raffreddore, una contusione – le situazioni di urgenza e di cronicità maggiori richiedono l’interazione di più professionisti contemporaneamente. È abbastanza semplice da capire pensando alla cronicità: tali pazienti, anziani e/o disabili, hanno bisogno, ad esempio, anche di fisioterapista, cardiologo e nefrologo.

Un tempo, nel corso di laurea in medicina, si studiava il malato con una, massimo due patologie. Oggi la maggior parte dei pazienti cronici ha 3-4 malattie, ha caratteristiche diverse. La multimorbidità, cioè la contemporanea presenza di tante patologie su una persona, complica la terapia.

C’è poi un altro tipo di cronicità: i pazienti con patologie che anni fa erano letali, infettive come l’Hiv oppure congenite come le malformazioni cardiache, che invece oggi sopravvivono grazie alle terapie, ma che necessitano per anni di una serie di trattamenti e di assistenza cronica, che possono essere anche molto costosi per il Servizio pubblico perché i farmaci, soprattutto i nuovi, costano molto. Il costo dei trattamenti tende ad aumentare in molti altri casi, come le terapie oncologiche, la chirurgia mininvasiva, le terapie geniche e quelle digitali. Andremo sempre più verso una medicina personalizzata multidisciplinare e sempre più costosa.

Questa rotta dell’evoluzione non è modificabile perché riguarda il progresso della ricerca medica che sta entrando nella comprensione di singoli meccanismi di interazione di singole cellule, e di come reagisce praticamente ogni singola cellula. Questo comporta sistemi molto più avanzati nel trattamento delle patologie, che saranno intese in modo completamente diverso dal passato e il Sistema sanitario pubblico dovrà erogare prestazioni più complesse e più costose.

Dobbiamo quindi insistere in modo molto efficace e capillare sulla prevenzione, sfruttare tutte le nostre tecnologie per ritardare, se non evitare, che le persone si ammalino. Questo cambierà l’organizzazione del lavoro del medico che continuerà sempre a fare le attività svolte in passato, ma farà anche un controllo della qualità di vita delle persone attraverso i sistemi digitali, per essere sempre più avanzato sulla prevenzione.

L’idea è: evitare che una persona si ammali, se si ammala evitare che la malattia progredisca ed evitare che si complichi. I diversi tipi di prevenzione saranno potenziati dalle tecnologie digitali, grazie a sensori sempre più miniaturizzabili nell’ambiente, a contatto o anche dentro il corpo del paziente: avviene già ora per il pacemaker che tramette la condizione del paziente al centro di riferimento, a distanza di chilometri.

La medicina personalizzata e predittiva per ora resta ancora un’utopia, però ci si sposterà molto su questa direzione. Ovviamente, le persone continueranno ad ammalarsi. Ci sono studi sociologici ed epidemiologici sul fatto che la medicina stia, per così dire, spingendo le malattie verso la parte finale della vita delle persone. Da una parte, questo significa migliore qualità di vita, ma la parte oscura è che, facendo così, si concentra la multimorbidità nell’ultima fase di vita, rendendola estremamente difficile. Se quest’ultima parte della vita si allunga, allora diventa anche un problema di sostenibilità, quindi anche il welfare va ripensato.

La cultura del medico e la sua formazione sono destinate a cambiare. Da tanti anni ho pubblicamente, più volte, denunciato la responsabilità storica dell’accademia italiana che avrebbe potuto, già 10 anni fa, introdurre alcune ore di lezione sulla sanità digitale. Non serve che ogni medico e che il personale sanitario sia un programmatore informatico: serve che abbia la consapevolezza dei mezzi che impiega nel lavoro che svolge. Attualmente non c’è nemmeno mezz’ora dedicata a questa formazione. Il concetto, ribadito anche ultimamente, in modo disarmante, è che tanto i ragazzi sanno usare il computer benissimo. Non abbiamo bisogno di ottimi clienti di software, ma di dirigenti che sappiano valutare quale tecnologia sia appropriata per i pazienti: televisita, teleassitenza e teleconsulto non sono sempre appropriati. La teleriabilitazione o la terapia digitale potrebbero non essere appropriate per alcune persone. Tutti i medici, gli infermieri e tutti i fisioterapisti, nel corso di laurea, hanno alcune ore di lezione sulla radio-diagnostica. In modo più o meno approfondito e complesso, in base al corso di laurea, tutti però sanno come funzionano i raggi x e viene spiegato il principio di funzionamento. Nessuno tra loro è talmente esperto da potere da solo manovrare, aggiornare o progettare le macchine, ma serve che conoscano il principio di funzionamento per capire quando sia indicato fare una radiografia e come farla. Questo insegnamento va fatto anche per le nuove tecnologie sanitarie. Dobbiamo insegnare i principi di funzionamento dei sistemi digitali che verranno poi utilizzati per i pazienti, perché siano sempre impiegati al meglio.

La medicina è una scienza applicativa: prende le innovazioni di altre tecnologie e le applica alla vita, nella clinica di tutti i giorni, per risolvere i problemi del paziente. Un‘altra cosa che, tra alcuni anni, diventerà importante in sanità è l’uso dell’Intelligenza artificiale (IA) Tecnologia ponte tra medico e paziente. L’AI è realtà in OpeNet | Alleati per la Salute. Spesso dicono che il pc sostituirà il medico. Questa paura irrazionale viene estesa a tutta a digitalizzazione. Questo però non è vero. È invece importante che i medici e il personale sanitario siano formati. Non è affatto vero che la tecnologia sostituirà il medico, ma semmai che i medici in grado di usare le tecnologie digitali sostituiranno quelli che non lo sanno fare.

Importanti cambiamenti sono attesi anche per il paziente che, stando male per definizione, ha bisogno di essere aiutato. Il concetto che pretende per un paziente di usare codici o password, quando sta male, non sta in piedi. Il sistema tecnologico deve essere semplice, lineare e il più possibile automatico. Il paziente però deve conoscere le tecnologie che sta usando, deve imparare ad occuparsi della sua assistenza prima di stare male. Bisogna imparare a interagire con il Sistema sanitario perché, quando si sta male si fa una fatica eccessiva. Quando stanno bene, le persone devono capire cosa fare quando sfortunatamente non staranno bene. Per avere, ad esempio, una riabilitazione a distanza, il paziente deve essere istruito su cosa fare. In alcuni casi il sistema è già strutturato: ci sono corsi di formazione per il paziente, ma questo è un uso un po’ improprio perché una persona non impara a fare il paziente, ma deve imparare a usare il sistema che, d’altra parte, deve essere facilissimo da impiegare.

In ogni caso il paziente non è passivo, non basta che dica “mi fa male la pancia“. Ci saranno diversi modi di interagire tra paziente e sanità. La maggior parte interagirà quando sta abbastanza bene, si interfaccia per tutelare la sua salute. È stato ampiamente dimostrato da studi sperimentali che, mettendo una semplice bilancia a disposizione di pazienti con scompenso cardiaco, se il paziente la usa ogni giorno, se tutti i giorni comunica i dati del suo peso al centro sanitario cardiologico, il centro previene con alcuni giorni la crisi acuta che richiede un trasferimento immediato in terapia intensiva, che è un danno aggiuntivo al paziente scompensato. Ci sono sistemi più sofisticati per prevedere questo evento anche di alcune settimane. Dispositivi a basso costo, come una bilancia per il peso corporeo, possono permettere di evitare una fase acuta oppure una complicanza. Chiaramente ci vuole un paziente che capisca di pesarsi tutti i giorni e bisogna quindi spiegarne il motivo. Ci vuole quindi un paziente capace di ascoltare le indicazioni dei sanitari, che saranno più articolate di un tempo. Non si tratta del “prendi la pastiglia e ci vediamo tra una settimana”. Nella telemedicina, l’interazione è più complessa, ma ne vale la pena.

In questo contesto è importane anche la raccolta del dato, che è un bene per il paziente, ma anche per la sanità. Un’altra cosa da sottolineare riguarda l’informazione: il paziente, il cittadino deve sapere di questo nuovo approccio multidisciplinare, perché il paziente, in questi anni, verso il nuovo modello, deve conoscere quanto sia necessaria la sua partecipazione attiva nella promozione della sua salute.

È evidente che, se le persone hanno l’opportunità di conoscere le possibilità di controllo e cura per la propria salute, sanno esigerle. Da un punto di vista tecnico-scientifico, è da anni che si lavora sulla telemedicina. Manca la parte divulgativa. I media in effetti non si sono mai occupati seriamente e in modo sistematico di questa tematica. Se ne sono occupati solo a livello sporadico. Credo che il Servizio sanitario nazionale dovrebbe interessarsi alla diffusione di queste informazioni. Il fatto è che il Ssn è da un anno che si occupa di telemedicina in modo sistematico e organizzato: fino a un anno fa c’erano prestazioni, ma singole, non in modo sistematico e su vasta scala. L’inserimento coerente e appropriato dei sistemi di telemedicina nell’attività ordinaria sanitaria dipende molto da quello che accadrà nei prossimi mesi nell’interazione tra la riorganizzazione del sistema territoriale e le progettualità finanziate dal PNRR.

29/09/2022

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